La selezione delle trote autoctone

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La selezione delle trote autoctone

Per ripopolare i nostri corsi d’acqua e i nostri laghi con pesci autoctoni, cioè con specie originarie della nostra fauna, la prima mossa è ottenere uova da riproduttori selezionati.

La necessità di utilizzare riproduttori autoctoni è oggi richiesta dalle leggi che tutelano la biodiversità ed è un concetto abbastanza nuovo. Fino a pochi anni fa, infatti, le immissioni di pesci, soprattutto trote, avvenivano con stock acquistati sul mercato degli allevamenti senza badare alla provenienza genetica.

Per la cosiddetta “pronta pesca” venivano liberate trote iridee, una specie che deriva da incroci di specie americane. Per i ripopolamenti con trote più “rustiche” venivano utilizzate trotelle, avannotti e uova embrionate di trota fario, la trota originaria europea e alpina. La prima è riconoscibile da una livrea iridescente, soprattutto nel periodo di frega con una banda rosata al centro e tanti puntini sparsi ovunque, anche nelle pinne. La seconda è caratterizzata da i famosi puntini rossi laterali (con la pinna adiposa a punta rossa) in mezzo a una diffusa punteggiatura nera. Questa livrea è quella comune della trota fario, comune a tutti i ceppi o ecotipi. Allora bastava così, ai bambini pescatori veniva insegnato che la fario è quella con i puntini rossi e basta.

Ma verso gli anni ’90 si fa strada un nuovo concetto di biodiversità nella fauna ittica, non più basato su una appartenenza grossolana a una specie ma sulle caratteristiche peculiari che la specie assume nelle diverse zone. Così la trota marmorata, considerata sottospecie della fario e presente solo nel bacino padano-veneto, diventa sempre più un prezioso endemismo e, siccome si ibrida con la trota fario si inizia a considerare la cessazione di immissioni di fario nelle “zone a marmorate” e si iniziano a organizzare i ripopolamenti sulla base di riproduttori di marmorata, dalla livrea marmoreggiata, pura, in cui non sono presenti macchie rosse del carattere genetico della fario. Piano piano la Salmo (trutta) marmoratus, diventerà Salmo marmoratus, cioè specie a sé, distinta dalla fario.

Dopo la marmorata, a partire dagli anni 2000, gli ittiologi iniziano a fare distinzioni anche all’interno della specie Salmo trutta, la trota fario. Inizia una lunga disputa scientifica, non ancora terminata, sui caratteri morfologici della cosiddetta trota fario di ceppo mediterraneo, distinta dai caratteri generici della trota fario di ceppo atlantico. I due ceppi si separano quando la trota fario, che un tempo emigrava dal mare alle acque dolci come fanno ancora oggi i salmoni e altre specie di trote, trova il Mediterraneo chiuso dalla deriva dei continenti: i due gruppi si avviano così a un processo di speciazione mai concluso ma arriva a una distinzione delle livree.

L’enorme immissione a scopo di ripopolamento di esemplari di ceppo atlantico provenienti dal mercato ittiogenico su scala europea, ha portato nei nostri torrenti la prevalenza di questo ceppo (oggi diciamo “ecotipo”) che si è ibridato con le fario mediterranee originarie portando queste ultime al ciglio dell’estinzione. La morfologia che richiama i caratteri della mediterranea presenta punti neri molto piccoli, e una forte presenza di puntini rossi, presenti anche sulla pinna dorsale. I puntini, sono privi dell’alone bianco che caratterizza i puntini dell’atlantica e sui fianchi sono presenti le “macchie di parr” bande verticali scure sfumate. Sull’opercolo è visibile una grossa “macchia opercolare” e la piccola pinna adiposa è di colore aranciato.

Nascono gli incubatoi ittici gestiti dalle Province e dalle associazioni che, su indicazione dei consulenti di Province e Regioni, iniziano a produrre oltre che trote marmorate anche trote fario derivate da riproduttori con queste caratteristiche. Lo stesso si inizia a fare con un’altra trota che si credeva sottospecie della fario, la Salmo lacustris, la trota di lago, che non ha macchie rosse e che ha macchie nere a forma di X.

Poi è arrivata la genetica. Le analisi genetiche, oggi, stanno sempre più sostituendo la semplice osservazione delle livree. I riproduttori devono essere analizzati geneticamente e si generano nuove generazioni solo da maschi e femmine geneticamente definite autoctone.

La stessa attenzione per i “ceppi” o ecotipi si inizia ad avere anche per il luccio padano (che si differenzia da quello danubiano o baltico per la sua tigratura) e per il temolo padano, caratterizzato dalla vistosa colorazione azzurra della pinna che nei ceppi europei presenza invece sfumature rossastre.

Nel Centro Italia gli ittiologi iniziano a distinguere cavedani e barbi di ceppo diverso e la trota mediterranea la trota sarda, che per alcuni sarebbe da distinguere da quella dell’Atlante, la macrostigma, caratterizzata da assenza di macchie rosse, viene sancita come specie a sé stante (Salmo cetti).

Tornando alla trota fario, per determinare le caratteristiche genetiche dell’ecotipo mediterraneo sono in corso studi basati sull’analisi del Dna del nucleo e dei mitocondri. Si paragonano campioni di Dna di trote rinvenute in corsi d’acqua dove si pensa che siano ancora presenti esemplari in purezza oppure in reperti ossei rinvenuti in resti di pasto antichi.

Il grado di purezza del Dna di un pesce che possa essere considerato “autoctono” deve superare il 95% dei caratteri genetici originari.

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