La carne di pesce è un formidabile alimento ma è anche un cibo in un certo senso “religioso”. Nelle zone interne, il pesce è sempre stato pescato ed è sempre stato allevato. L’allevamento si è diffuso ovunque per la necessità di avere a portata di mano riserve di pesce (e quindi di proteine nobili) da utilizzare quando altre fonti scarseggiavano.
Per questo, lo allevavano già i Romani: ma il vero boom inizia con il monachesimo medievale e la diffusione delle abbazie. Queste, non sempre tra i loro possedimenti annoveravano diritti di pesca in fiumi, laghi, stagni naturali. Ma per i monasteri era fondamentale essere riforniti di pesce per l’imposizione della Chiesa di mangiare “di magro” il venerdì e nei giorni di Quaresima. Lo stesso valeva per i nobili e le classi borghesi ma per il clero questa pratica era assolutamente irrinunciabile.
L'astinenza dalla carne e dalle altre proteine animali (latticini, uova) poggiava su due motivazioni: la prima è che si riteneva che il suo consumo stimolasse le passioni e uno degli scopi del digiuno e dell’astinenza era (ed è) proprio la liberazione da esse. Il secondo era di natura penitenziale. San Tommaso scrisse che la carne e i suoi derivati sono alimenti che “piacciono maggiormente e danno un maggiore nutrimento al nostro corpo” (Somma teologica, II-II, 147, 8). Il pesce, invece, veniva considerato il cibo dei poveri e che inoltre forniva meno calorie. Quindi il suo consumo era ammesso.
Non sempre di venerdì si mangiava pesce nelle abbazie ma quando serviva questo doveva essere prelevato fresco. Per questo c’erano i “vivaria”, i vivai, dove i pesci venivano allevati da contadini servi dell’abbazia o da conversi.
Ancora oggi il pesce è maggiormente consumato il venerdì e durante la Quaresima. Del resto, ancora di recente la Conferenza episcopale italiana, il 4 ottobre 1994, ha confermato la legge dell’astinenza dal consumo di carne e "dei cibi e delle bevande che, a un prudente giudizio, sono da considerarsi come particolarmente ricercati e costosi”.